Modello integrato nella manipolazione vertebrale

L’Evidence Based Practice è oggi, a ragione, il modello guida nella presa in carico dei pazienti. Questo modello da solo presenta però dei limiti e non è sufficiente per essere operativi nell’utilizzo delle manipolazioni vertebrali. Come possiamo ovviare a questa situazione?

Proposta di un modello ad approccio integrato nella manipolazione vertebrale (Fabio Perissinotti)
L’approccio integrato nasce dall’osservazione dei limiti della EBP che possono essere ovviati se viene integrata con altri approcci (Attenzione non sostituita!) coordinati dall’expertise del clinico.

L’EBP rimane l’orientamento di partenza

L’Evidence Based Practice, ovvero la presa in carico dei pazienti basata sulle migliori prove cliniche di efficacia, ha apportato a partire dalla metà degli anni ’90 del secolo scorso un contributo fondamentale nel tentativo di oggettivare l’operato dei professionisti sanitari e di migliorare la prevedibilità degli outcome in seguito a specifiche terapie. Tuttavia, allo stato attuale, essa non è sufficiente da sola a giustificare l’operato sanitario e nella fattispecie l’approccio clinico in terapia manuale. Vi sono dei limiti, ad oggi non superati, riguardanti i risultati delle metodologie di indagine clinica in relazione a diversi fattori, non ultimi anche se non unici, la mancanza di un eziopatologia certa di molte problematiche muscoloscheletriche affrontate in terapia manuale, si pensi per esempio al NSLBP on NSNP, e la difficoltà di individuare e misurare l’influenza dei fattori contestuali sull’outcome.

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Interdipendenza regionale e manipolazioni vertebrali

MODELLO DI INTERDIPENDENZA REGIONALE

Il concetto di interdipendenza regionale è stato proposto da Wainner (2007) facendo riferimento ad un quadro clinico in cui un disturbo manifestato dal paziente in una regione corporea può essere correlato all’impairment disfunzionale di un’articolazione attigua o remota a quella regione.

Questo impairment disfunzionale può essere causa o concausa del disturbo manifestato del paziente. La proposta di Wainner era incentrata esclusivamente sulle connessioni anatomiche-meccaniche in relazione a manifestazioni cliniche quali ROM e dolore. Successivamente Bialosky (2009), in riferimento al suo modello riguardante i meccanismi di azione della terapia manuale che include oltre a quelli meccanici anche gli effetti neurofisiologici e non specifici, così come fattori contestuali, ha allargato il concetto di interdipendenza regionale in termini più complessi e in ottica multifattoriale.

In verità la proposta di Wainner non è stata una novità assoluta, piuttosto il tentativo di organizzare e concettualizzare e sistematizzare diverse osservazioni già presenti in precedenza.

Oggi sono numerosi gli esempi di interdipendenza regionale pubblicati in letteratura scientifica, tanto che questo approccio può essere preso in considerazione a scopo diagnostico e per la progettazione e conduzione del trattamento manuale così come per la prescrizione di esercizi e per l’educazione del paziente. Occorre però ricordarsi che solo una piccola parte dei paper riguardanti il modello di interdipendenza regionale sono costituiti da studi longitudinali, studi randomizzati controllati o regole di previsione clinica.

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Sarcopenia: ha senso la manipolazione vertebrale?

La sarcopenia è una patologia diffusa e non sufficientemente considerata quando si prendono in carico pazienti con problemi muscoloscheletrici.

E’ legata all’invecchiamento associato ai suoi fisiologici cambiamenti ormonali che sono però accentuati dall’inattività, dalla presenza di malattie croniche e da un alimentazione scadente e povera di proteine. Il tutto si traduce in una perdita progressiva della massa e delle unzioni muscolari e di riflesso di quelle viscerali.

Cosa fare se il paziente ha male e soffre di sarcopenia?

Come prima cosa occorre effettuare uno screen a mezzo del SARC-F.

S – Forza: che difficoltà ha il paziente nel sollevare e portare 5 Kg?
Nessuna, un pò, molta o è del tutto incapace?

A – Assistenza nel cammino: che difficoltà ha il paziente nel deambulare nella stanza?
Nessuna, un pò, riesce con ausilio o è incapace?

R – Alzarsi da una sedia: che difficoltà ha il paziente nell’alzarsi dalla sedia  dal letto?
Nessuna, un pò, molta o è totalmente incapace?

C – Salire le scale: riesce a salire una rampa di scale?
Si riesce, ha difficoltà, ha molta difficoltà o è incapace?

F – Cadute: quante volte è caduto in un anno?
Nessuna, men di 3, 4 o più cadute?

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Manipolazione vertebrale cervicale e rischio vertebrale

Le manipolazioni vertebrali possono provocare dissecazione dell’arteria vertebrale? Sono pericolose?

Si tratta sicuramente di uno degli argomenti più “scottanti” riguardanti le manipolazioni vertebrali che, purtroppo, spesso è affrontato in maniera superficiale e sensazionalistica, senza dare voce alla ricerca scientifica.

Quale rischio vascolare?

Il rischio vascolare in seguito a manipolazione vertebrale è spesso chiamato in causa tra gli addetti ai lavori e non solo, occorre quindi fare un’analisi approfondita della questione in maniera da avere idee chiare. Nella fattispecie, il rischio vascolare riguarda:

  • la possibile occlusione dell’arteria vertebrale, che come vedremo è poco probabile;
  • la dissecazione della carotide, anch’essa poco probabile;
  • la dissecazione dell’arteria vertebrale, che in teoria è possibile ma come vedremo ha un rischio è molto basso e minimizzabile con uno screening pre-manipolativo ben condotto.

Occlusione dell’arteria vertebrale

Partiamo analizzando la questione della possibile occlusione dell’arteria vertebrale. Durante il movimento del capo e della colonna cervicale l’arteria vertebrale è chiamata causa e si comporta nella seguente maniera:

  • nell’estensione del rachide il flusso sanguigno diminuisce in entrambe le arterie;
  • in rotazione diminuisce nell’arteria controlaterale al lato della rotazione;
  • nei movimenti accoppiati di estensione con rotazione diminuisce maggiormente il flusso nell’arteria controlaterale alla rotazione;
  • normalmente questi cambiamenti sono però poco importanti;
  • i movimenti sopra descritti per incidere sensibilmente sul flusso devono essere portati all’estremo del range articolare.

Inoltre:

lo stiramento dei vasi durante la manipolazione è basso, inferiore rispetto a fare retromarcia o appoggiare il capo sul lavandino del parrucchiere, e non ottunde l’arteria nemmeno in presenza di occlusioni aterosclerotiche dell’80%

  • entrate nella scatola cranica le arterie si anastomizzano nel tronco basilare che irrora diverse sezioni posteriori cerebrali: l’anastomosi basilare fa si che il flusso rimanga costante anche in caso di emergenza e solo movimenti molto intensi e duraturi non permettono l’adattamento, come ad esempio posizioni di stretch forzato e persistente.

In aggiunta:

  • il rapporto diretto tra movimenti cervicali e occlusione del flusso sanguigno non è sicuro e gli studi hanno dato risultati controversi;
  • è inaffidabile anche il rapporto diretto tra occlusione del flusso e manipolazione cranio-cervicale;
  • non a caso, la forma di affezione maggiormente riportata in letteratura è la dissecazione dell’arteria vertebrale e non l’occlusione.

Possiamo allora trarre alcune conclusioni:

la manipolazione ha una durata di pochi istanti, tempo insufficiente per produrre occlusione

  • le manovre tecnicamente corrette non sono portate mai ai range articolari estremi necessari per alterare il flusso arterioso;
  • il pericolo di occlusione non è evidentemente chiamato in causa in termini reali;
  • in presenza di fattori di rischio non si manipola e si effettua rinvio medico.

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Individuare le bandiere rosse e gialle prima di manipolare

Prima di effettuare la manipolazione vertebrale è fondamentale individuare la presenza di bandiere rosse e bandiere gialle

La sicurezza del paziente in terapia manuale è fondamentale

L’individuazione delle red flag e delle yellow flag rappresenta una competenza fondamentale per il terapista manuale, in quanto permette di rispondere all’imperativo “primum non nocere” che guida la presa in carico dei pazienti.

Le bandiere rosse in terapia

Sono chiamate Red Flag, ovvero bandiere rosse, quei segni e sintomi che potrebbe essere correlati a malattie sistemiche potenzialmente gravi per il paziente. La presenza di bandiere rosse deve mettere in allarme il terapista che dovrà indagare più approfonditamente lo stato di salute del paziente e se necessario chiedere un invio al medico per una diagnosi o, se ritiene che il paziente sia in immediato pericolo di vita, decidere per un invio diretto al pronto soccorso. Ogni regione corporea e ogni patologia ha le sue specifiche bandiere rosse, esistono però delle indicazioni generali da prendere in considerazione (Cavallaro Goodman e Marshall, 2016) in riferimento a quattro aree cliniche:

  • anamnesi remota
  • presentazione clinica
  • tipologia di dolore
  • e ai segni e sintomi associati al dolore.

Occorre ricordare che i segni e i sintomi non hanno di per sé valore assoluto come red flag, ma devono essere rapportati tra loro e riferiti al quadro clinico specifico del paziente.

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